A proposito di paesaggio: una mail che mi è arrivata sul tema inceneritori. Andrea
Esiste veramente molta disinformazione sul punto e su alcuni aspetti che, se fossero noti, forse potrebbero far cambiare radicalmente lopinione pubblica.
Parto da casa mia, da quel che sta succedendo a Parma, dove verrà costruito in termovalorizzatore (inceneritore non suona bene) che brucerà rifiuti e produrrà teleriscaldamento.
Il soggetto che lo costruisce è ENIA, una multi utility nata dalla fusione delle aziende municipalizzate operanti nel settore dei servizi pubblici nelle Province di Parma, Piacenza e Reggio Emilia, quindi partecipata dai relativi comuni.
Il costo dichiarato dellappalto è 180 milioni di euro.
Laspetto commerciale è evidente: il cittadino paga per conferire il rifiuto, il rifiuto è il combustibile che alimenta il termovalorizzatore, il cittadino paga (se aderisce allofferta) anche il riscaldamento che viene così prodotto.
Le conseguenze ambientali riguardano le emissioni.
Viene dichiarato che non verranno emesse diossine grazie alla altissima temperatura di combustione, verrà certamente emessa CO2 in larga misura, verranno certamente emesse polveri sottili (vedremo come) in grande quantità.
Sulle diossine la verità si potrà sapere solo quando verrà messo in funzione, perché la loro mancata emissione è una promessa del costruttore (viene definito prodotto di ultima generazione quindi non inquinante) e quindi dopo una decina danni con le analisi epidemiologiche.
Il dato attuale sugli inceneritori esistenti in Europa ci dice che le diossine vengono emesse (basta un abbassamento casuale di temperatura, ad esempio) e che lincidenza dei tumori aumenta in funzione della vicinanza agli inceneritori ed è proporzionale alla distanza.
Qui si produce il parmigiano reggiano anche con latte prodotto da caseifici non lontani dallimpianto, la Barilla ha i suoi stabilimenti a due chilometri dallimpianto stesso, tanto per fare due esempi, solo per capire che rischio si corre.
Quanto a CO2 i dati ritengono lemissione accettabile, quanto alle polveri sottili si parla di (costosissimi) filtri che la tratterranno.
Questultimo dato è contestato dalla comunità scientifica che ritiene che le polveri sottili escano comunque in modo ancora più fine (non più PM10 ma PM 2,5, per dire) e quindi ancor più pericolose in caso di inalazione.
Gli argomenti a favore dicono che le discariche sono più pericolose, che lasciare i rifiuti a marcire comunque ci porterà in breve alle condizioni della provincia di Napoli (un po come gli argomenti sulla sicurezza.), che gli inceneritori ci sono in tutta Europa e a Vienna persino in centro e che comunque non ci sono alternative.
Non è vero.
Cè un dato, ad esempio, che tutti ignorano ma che è presente in tutti i progetti di inceneritore (lo potresti leggere sul sito di quello che sarà costruito a Torino, ahimè, con la benedizione di Chiamparino) e cioè che almeno il 30% del rifiuto conferito si trasforma in cenere pesante che deve necessariamente essere smaltita in discarica.
Bruciare i rifiuti significa quindi avere la certezza, oltre che di mandare per aria sostanze di cui nella migliore delle ipotesi non conosciamo la pericolosità o la consistenza (lo sapremo dopo), di dover smaltire una considerevole quantità di scarti, che sono diventati pericolosi dopo che sono stati bruciati rifiuti dalle caratteristiche diverse tutti insieme, in discarica, cioè quel che si è dichiarato di voler evitare.
Ma soprattutto non è vero che non ci sono alternative.
Qui è sorto da tempo un Comitato (Gestione Corretta Rifiuti) che non solo ha contestato i dati che comune e provincia hanno distribuito, ma ha predisposto un progetto alternativo, di cui ti mando il link (è pubblicato su repubblica.parma) così come del loro sito:
http://static.repubblica.it/parma/alternativainceneritore.pdf
http://www.gestionecorrettarifiuti.it/no-inceneritore/alternative.html
ha come presupposti gli stessi del progetto di Enia (implemento della differenziata ad esempio) ma consiste nel trattamento a freddo, senza combustione.
Costa 10 milioni di euro contro 180, darebbe lavoro a più persone, ha un residuo del 5% (non pericoloso perché non bruciato) invece che del 30%, esclude qualsiasi rischio di inquinamento alla fonte, perché non cè combustione.
Certo, non consente di riscaldare la città facendo pagare al cittadino due volte un servizio, però garantisce comunque guadagni derivati dalla cessione di ciò che si ricava, raggiungendo lutile in 3 anni invece che 20 (causa i costi ovviamente).
Ma soprattutto elimina ogni rischio rendendo inutile ogni valutazione ipotetica sulle emissioni.
In italia ci sono esempi in piccoli centri, Vedelago (TV), Colleferro (Roma), Tergu (Sardegna).
Sabato qui cerano 5 mila persone in piazza, i comitati che seguono la vicenda raccolgono molti nostri elettori, ma molti evidentemente li perdiamo proprio per questo se le liste grillo che ovviamente sono in prima fila e non scontano alcuna ambiguità politica sul punto hanno preso un 7%.
Ma al di là di questo, mi chiedo: cosa è meglio per la gente, per la popolazione?
Una cosa che costa molto e, nella migliore delle ipotesi, presenta rischi per la salute lasciando un 30% di materiale da mettere in discarica, o una che costa quasi 20 volte di meno, è a rischio zero per la salute e la produzione alimentare, ha un residuo non pericoloso del 5% ed è comunque redditizia (dando lavoro anche a più persone)?
Ecco, io vorrei un PD che usando il buon senso e seguendo il principio di precauzione e della buona amministrazione si schierasse a gran voce per questa ultima soluzione.
E secondo me lelettorato potenziale del PD è fortemente interessato alla difesa dellambiente, ma a quella reale, non ad una difesa fittizia.
Per questo sono fortemente critico con Chiamparino ma anche con Matteo Renzi, che gli inceneritori li difendono, proprio perché mi sembra un approccio vecchio, che non si domanda cosa sarà di noi fra 20 anni, che non va oltre.
Invece possiamo andare oltre, e ti assicuro che molte persone sarebbero ben felici di poter votare un grande partito che sia veramente ecologista in modo concreto e non dei ragazzi come i grillini (che conosco, che stimo, e con cui bisognerebbe parlare e discutere) che non hanno nulla dietro per poter realizzare qualcosa invece che limitarsi a protestare per qualcosa.
E per questo che nonostante le delusioni rimango iscritto, perché le cose le vorrei anche cambiare.
Spero di non essere stato troppo prolisso.
Ciao.
Giampaolo (da Parma) Coriani
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Carissimi,
dopo un primo periodo in cui attraverso il wiki e la mail andiamooltre@gmail.com abbiamo raccolto le vostre idee e le vostre proposte è il tempo di concretizzare le idee.
I comitati e le persone
In alcuni territori sono nati alcuni comitati e gruppi che stanno incontrandosi e riunendosi per programmare alcune iniziative. L’invito è di cercare di rimanere in contatto anche nelle altre realtà dove si siano rese disponibili persone interessate al Progetto Nord e ad Andiamo Oltre.
È necessario anche coinvolgere nuove persone sulle singole iniziative per continuare ad “allargare il cerchio”.
Tutte queste energie coinvolte credo debbano essere motivate a lavorare su cose concrete. Ho proposto a chi mi ha contattato alcuni progetti mirati sull’esperienza delle realtà locali.
Tra i primi a Bergamo si sono attivati e hanno disegnato una road map che disegna concretamente questo percorso. Ve lo giro così che il format bergamasco possa essere utili a singoli o gruppi che si vogliano mobilitare.
Questi gruppi si potrebbero concentrare sulle "Buone Pratiche" dei Comuni e sui candidati vincenti del PD con l'obiettivo di elaborare dei documenti politici su esperienze e iniziative concrete.
Naturalmente questo format si può applicare anche ad altri temi. Penso, ad esempio, al mondo del lavoro autonomo, delle partite IVA e dei piccoli imprenditori che al Nord sono spesso oggetto delle attenzioni del Pd sono in scadenze elettorali. Sarebbe interessante attraverso Andare Oltre comunicare e cercare di capire questa galassia che rappresenta il cuore produttivo del Nord. Il sistema potrebbe essere il medesimo dello schema sopra riportato.
Un altro tema su cui si potrebbe attivare il lavoro è l’immigrazione: le pratiche di integrazione e coinvolgimento che nelle varie realtà si sono sviluppate.
Il format bergamasco
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a) Come abbiamo vinto? gli elementi caratteristici e distintivi che hanno portato liste e liste civiche di centro sinistra a vincere le elezioni nei comuni in contesti difficilissimi; in provincia infatti Lega e Pdl superano ampiamente, il 70/75%;
b) Le "Buone Pratiche", cioè esperienze e soluzioni adottate da ammnistrazioni comunali che hanno affrontato positivamente determinate problemi in modo innovativo e concreto;
c) Cosa fa il Pd? Come si pone il PD rispetto all'ente o come dovrebbe farlo?
d) Il federalismo di cartone. Abbiamo anche deciso di raccogliere informazioni sui trasferimenti finanziari dallo Stato ai Comuni per il periodo 2003 - 2009 per documentare il federalismo alla rovescia del centrodestra.
La road map.
Primo step. Effettuare il lavoro attraverso incontri/interviste con sindaci e referenti di amministrazioni comunali:
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- § definiremo inoltre una lista di Amministrazioni Comunali, 10/15 da incontrare ed "intervistare". Le sceglieremo tra quelle amministrate dal centro sinistra e potremo anche inserirne alcune che non sono state confermate nell'ultima tornata elettorale; talvolta, purtroppo, le buone pratiche non sono sinonimo di vittoria assicurata;
Secondo step.
- § incontrare la segreteria provinciale per presentare l'iniziativa ed eventualmente avere uno spazio per presentarne i risultati alla prossima Festa Democratica provinciale;
- § fissare un calendario di incontri con le amministrazioni prescelte;
- § elaborare il documento finale; il tutto entro fine luglio 2010 (magari anche prima).
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Il documento politico-riassuntivo
In parallelo al lavoro delle realtà locali, a livello centrale (passatemi il termine un po’ sovietico…J) abbiamo strutturato un schema di documento politico-riassuntivo su cui stiamo lavorando e che sarà pronto prossimamente.
Gli appuntamenti
Infine gli appuntamenti concreti e non virtuali del Progetto Nord.
Stiamo organizzando un incontro per fare il punto del lavoro svolto e per scambiarci le idee, che con ogni probabilità si svolgerà a Giugno, probabilmente in Provincia di Varese. Vi terremo, naturalmente, informati.
Rimango a disposizione attraverso l’email andiamooltre@gmail.com e la mia personale (se scrivete alla mia personale, mettete sempre in copia conoscenza quella di Andiamo Oltre).
A presto
Andrea Civati
Comments (13)
Giulio Pascali said
at 10:48 pm on May 6, 2010
1. Premessa
Allargherei il concetto di paesaggio al più esteso, integrato e includente concetto di gestione del territorio.
Parlare di gestione del territorio significa generalmente ragionare in termini sistemici all’intero territorio amministrato dalla politica (Nazionale, regionale, provinciale, ecc.) con una ottica che considera paesaggio anche quello comunemente non identificato come valore in se.
Esiste un paesaggio naturale (schematicamente considerato “puro”), un paesaggio naturale antropizzato (che definiremmo rurale), un paesaggio storicizzato (che rientra nella sfera del patrimonio culturale storico e archeologico); tutti questi paesaggi vengono comunemente ascritta nella sfera del paesaggio considerato come un valore a se stante, automaticamente considerato in senso positivo.
Esiste in vece un paesaggio urbano, puramente antropico e artificiale che comprende in se l’accezione negativa e negativistica della modernità costruita e implicitamente dello sviluppo considerato pavlovianamente negativo, malato da combattere.
Questo secondo paesaggio è in realtà il paesaggio in cui viviamo, quello in cui si sviluppa la grande maggioranza della nostra esistenza.
Guardiamo al paesaggio naturale e storico come modelli ideali da preservare e da inseguire mentre la vera tutela comincia dal contesto in cui viviamo.
Giulio Pascali said
at 10:57 pm on May 6, 2010
2. Analisi del sistema
L’attuale modello di gestione del paesaggio sconta una visione storicistica e vincolistica del concetto di tutela del paesaggio.
Riscontro una forte dicotomia tra paesaggio urbano, moderno e contemporaneo (visto in maniera preconcettualmente negativa) e paesaggio naturale, storico e storicizzato (con una accezione ideologicamente positiva).
Sussiste inoltre nella cultura generale una visione “statica” del paesaggio, considerato come un bene immutabile e dimenticandosi che anche il paesaggio naturale “puro” è sempre il frutto di una evoluzione che lo ha trasferito fino ai nostri giorni e ce lo ha consegnato nella forma attuale.
Ritengo che la cultura conservatoristica dominante abbia creato un congelamento del processo evolutivo bloccando lo sviluppo di una catena costruita nel corso dei millenni. Fatto salvo per il paesaggio naturale puro, occorre considerare che è possibile ragionare in termini di gradi progressivi di trasformabilità del territorio.
Il sistema di protezione appare inoltre chiuso in se stesso evidenziando una forma di gestione sostanzialmente basata sul divieto e sul controllo, che nei casi più degenerati risulta mera forma di abuso di potere. Nei casi più blandi si traduce in forme di arbitrarietà e blocco burocratico dei processi di autorizzazione alla trasformazione del territorio.
Giulio Pascali said
at 11:11 pm on May 6, 2010
3. Conseguenze pratiche del sistema
Il sistema attuale ha creato e sta creando sempre maggiore sfiducia del cittadino nella possibilità di ottenere permessi e autorizzazioni senza il ricorso a vie alternative (abusivismo, corruzione, clientelarismo).
Anche quando si ritiene di operare in regime di regolarità, la necessità di ottenere le autorizzazioni in tempi brevi porta, il cittadino a ricorrere a forme di esposizione alle sanzioni (si realizza un immobile e si trasforma il territorio, mentre si procede alla regolarizzazione del titolo autorizzativo)
In generale al livello di macro gestione territoriale sempre più spesso l’anello debole del sistema è la totale incertezza derivante dai tempi decisionali della politica che fatica a individuare linee guida unitarie e certe.
Nell’incertezza della politica dilagano le arbitrarietà delle burocrazie che gestiscono in maniera arbitraria tutto il sistema (quando il compito della politica dovrebbe essere proprio il controllo e la vigilanza sulla burocrazia, sembra invece accadere il contrario)
Giulio Pascali said
at 11:20 pm on May 6, 2010
La limitazione del concetto di tutela alle sole aree protette è portatrice di un retaggio culturale che porta implicitamente a considerare la sussistenza di un vincolo prevalentemente come un danno per chi lo subisce. Si pensi alle diatribe reiterate che si sviluppano spesso tra gli enti parco e i comuni interessati dai parchi stessi: da una parte enti sovraordinati, non soggetti (per fortuna) al “giudizio elettorale” delle popolazioni direttamente interessate; dall’altra i comuni, che si vedono defraudati di fette di potere e subiscono i parchi come limitazioni al proprio sviluppo economico e sociale .
Nell’ansia della tutela culturale e paesaggistica ci si è completamente dimenticati della creazione di paesaggi contemporanei. Ambiti territoriali capaci di creare cultura e innovazione. Ma anche ambiti degradati, suburbani, industriali che possono essere come potenziali luoghi di creazione di valore; luoghi di creazione di paesaggio.
Giulio Pascali said
at 11:48 pm on May 6, 2010
La paralisi generata dal connubio indecisione politica/burocratizzazione del sistema di gestione ha infine due dirette conseguenze:
- i principali operatori (professionisti, imprese, committenti) sono portati a privilegiare scelte di trasformazione territoriale (ad es. la costruzione di una casa) che maggiormente soddisfano il requisito di semplicità burocratica (si sceglie il tecnico vicino all’ufficio tecnico, si predilige l’abusivismo sotterraneo, si cercano soluzioni volte a evitare problemi), mettendo in secondo piano le scelte che hanno carattere di valorizzazione culturale (a discapito sia della tutele del territorio, che dell’innovazione culturale e tecnologica)
- si assiste quindi ad un generale depauperamento del territorio, dovuto principalmente alla sua banalizzazione
- da punto di vista territoriale gli interventi pubblici (o di interesse collettivo) sono di fatto fuori controllo o gestiti in regime emergenziale a totale discapito della pianificazione e della verifica sui reali benefici verso la collettività
Giulio Pascali said
at 11:48 pm on May 6, 2010
4. Paradossi
Appare evidente l’eterogenesi dei fini, laddove la volontà di creare un argine alla dilagante erosione incontrollata del territorio, sta rischiando di costituire il maggiore alibi alle spinte speculative che operano sistematicamente al di fuori delle regole ordinarie. Il cittadino, e il generico operatore che ritiene un dovere il restare all’interno del campo della legalità, finisce con il risultare il soggetto maggiormente penalizzato.
L’ansia di tutelare il patrimonio naturale e culturale nazionale rischia di portare da una parte alla progressiva infruibilità del patrimonio stesso, relegandolo ad una forma di astrazione ed estraneazione, rendendolo un oggetto da guardare (senza vedere) piuttosto che un soggetto attivo da vivere; dall’atra parte se ne sancirà la banalizzazione musealizzandolo e turisticizzandolo.
Come l’arte e la cultura (sia antica che contemporanea), saranno sempre di più degli episodi nella vita ordinaria del cittadino, relegate nella casella dei clichè mediatici, tollerate ed apprezzate sulla carta stampata, apprezzate negli sfondi delle pubblicità, ma mai realmente vissute nella vita di tutti giorni, anzi (quando la vita ordinaria si incrocia con loro) viste come un pericolo incontrollato (nel caso della contemporaneità) o come un fastidio colpevolmente mal tollerato (nel caso del patrimonio storico e naturale)
Giulio Pascali said
at 12:14 am on May 7, 2010
5. Spunti:
- riappropriarsi della capacità di gestire il territorio superando la dicotomia Paesaggio Naturale e Paesaggio Urbano
- Il paesaggio è uno unico dinamico multiforme e integrato
- la gestione di un sistema dinamico può avvenire solo tramite il recupero della pianificazione centrale basata su una drastica riduzione degli strumenti urbanistici e una limitazione degli enti preposti alla loro stesura
- l’aggiornamento degli strumenti deve essere sistematico, periodico e attuato con tempi certi
- Inversione del sistema di controllo e gestione/attuazione da passare attraverso la responsabilizzazione (con meccanismi di autocertificazione) del tecnico progettista; la separazione obbligatoria della figura del progettista dall’impresa; il potenziamento degli organismi di controllo che devono muoversi nel territorio (non stare dietro a scrivanie) e l’introduzione di sistemi di rotazione obbligatoria dei posti di responsabilità (per scongiurare forme di clientelarismo); il potenziamento di organi giudiziari con specifiche mansioni dedicate al controllo degli abusi (di costruzione e di potere)
Giulio Pascali said
at 12:15 am on May 7, 2010
In sostanza il sistema proposto dovrebbe funzionare così:
- il politico ha il potere di pianificazione e di indirizzo sulla trasformabilità del territorio, mettendo al primo posto la “vivificazione” del sistema culturale; abbandono definitivo di qualsiasi forma di condono
- il cittadino deve divenire responsabile diretto delle proprie azioni nel rispetto della normativa e soprattutto nella tutela del patrimonio
- per le azioni di trasformazione del territorio (dall’interno della propria casa fino alle grandi trasformazioni urbane) deve divenire obbligatoria la certificazione da parte del professionista abilitato del rispetto delle normative (riducendo il potere e la discrezionalità degli organi tecnici); il professionista deve essere responsabile in solido con il committente ma deve essere a maggior ragione il responsabile della tutela del bene collettivo rispondendo in prima persona delle scelte architettoniche e culturali
- l’impresa deve essere concettualmente separata dal professionista (il controllore non può essere il controllato e viceversa)
- come in altri ambiti, è fondamentale ed essenziale che il sistema giudiziario riacquisti efficienza e generi certezza della pena; inutile qualsiasi vincolo se poi gli abusivisti non vengono immediatamente puniti (e basta allungare i tempi processuali per aspettare un qualsiasi condono)
Giulio Pascali said
at 12:26 am on May 7, 2010
Un’ultima considerazione relativa alle competenze professionali in gioco.
Occorre procedere con urgenza ad una immediata definizione delle competenze professionali.
In un ambito come quello della trasformazione del territorio operano, indistintamente:
architetti, ingegneri (civili, meccanici, elettrici, ecc.), geometri, agronomi, periti industriali e tutti quelli che ritengono di saperne un po’.
In questo marasma gli operatori effettivamente autorizzati ad operare (e certificare…) devono essere rigorosamente suddivisi per ambiti e competenze derivanti dalla specifica formazione professionale:
butto li basandomi sulla semplice etimologia delle professioni:
il progetto di architettura (dal cucchiaio alla città) è prerogativa degli architetti (che finora statistiche alla mano incidono solo per il 5% del patrimonio costruito) i quali finalmente potranno prendersi la piena responsabilità di guasti e deturpazioni, ma anche pieni meriti….
Le prestazioni specialistiche (strutture, impianti) sono prerogative degli ingegneri, suddivisi per categorie specifiche (indicativamente, strutturisti, elettrici e meccanici)
Le attività di verifica e misura (catasto, contabilità e misura nei cantieri) sono prerogative dei geometri (dal greco misurare la terra….)
Marco said
at 5:02 pm on May 17, 2010
Secondo me non esiste in realtà una "regola aurea" che vada bene per qualsiasi ambito territoriale. Io ad esempio vivo ai margini settentrionali di una nuova forma di paesaggio antropizzato che prende il nome di "area metropolitana", laddove la dicotomia tra paesaggio urbanizzato ed ambiente naturale (sfruttato dall'uomo nel solo uso agricolo - non residenziale) esiste eccome. Ed è proprio su questo bivio che in molti comuni si sta giocando la partita più importante del nostro futuro: il PGT. L'adozione di uno strumento così controverso e subordinato alla contrattazione tra pubblico e privato senza neanche la certezza temporale di uno stato dell'arte teso a mutare scenario ad ogni cambio di giunta, è un'operazione così delicata che implica, per chi fa della tutela ambientale un suo impegno politico, una vigilanza costante.
Troppo spesso i casi di paesi o città governate dalla stessa compagine politica per varie legislature hanno irrimediabilmente compromesso alcune aree naturali di grande interesse floro-faunistico, senza che enti sovracomunali potessero in realtà orientare diversamente qualdove addirittura impedire questi scempi.
E' il caso classico della lentezza burocratica con la quale si aggiornano gli strumenti urbanistici di coordinamento territoriale provinciale.
Riformare il sistema degli enti preposti al flusso dei dati per la compilazione degli strumenti che regolano il nostro territorio sarebbe un buon punto di partenza.
Giulio Pascali said
at 1:21 pm on May 28, 2010
daccordo che il paesaggio sia una materia da trattare con criteri pragmatici da valutare caso a caso (le langhe piemontesi non sono i trulli di puglia). ciò non toglie che il sistema normativo italiano di governo del territorio sia diventato una babele di regolamenti e procedure diverse e spesso contrastanti dove chi la fa da padrone sono i tecnocrati locali
Ti faccio un esempio molto pratico: il fotovoltaico
per interventi simili ogni regione ha adottato criteri diversi di regolamentazione, spesso ogni comune ha le sue regole applicative (diverse l'uno dall'altro), i municipi pure, se poi chiediamo a due diversi tecnici ti daranno probabilmetne due interpretazioni diverse.
banalmente, chiedi ad un tecnico di dirti cosa deve fare per installare un impianto fotovoltaico e la risposta sarà "dipende da dove e da chi segue la pratica", se poi devi intervenire in località ristrette la risposta sarà non lo so (bisogna andare sul posto e chiedere). questo, oltre ad esse molto frustrante, fa la fortuna dei piccoli poteri locali che possono vantare contatti diretti nelle amministrazioni, ostacola la concorrenza tra professionisti, rende estremamente difficile qualsiasi controllo.
Giulio Pascali said
at 1:34 pm on May 28, 2010
Un altro esempio più politico? proviamo a chiedere a 20 assessori all'urbanistica quali sono le procedure per ottenere una variante di piano. riceveremo 20 risposte diverse derivate da informazioni e conoscenze raccolte sul posto. Parlo di procedure non di contenuti. questo di nuovo porta spesso la politica ad essere spesso più vittima della tecnocrazia locale, piuttosto che soggetto di indirizzo e controllo (come dovrebbe essere)
un'altra osservazione e che spesso la procedura (regolamentata in ogni caso diversamente da regione a regione) più utilizzata è l'Accordo di Programma.
l'AdP consente di riunire in un unico atto tutti i soggetti chiamati ad esprimere un parere su una trasformazione urbana, velocizzando (quando tutti sono daccordo) e semplificando le procedure. il problema è che culturalmente l'AdP sta favorendo la pratica di gestire la città in maniera frammentata, caso per caso, senza pensare ad una strategia generale, anzi spesso gli AdP consentono di agire in contrasto con i PRG, snaturandone il progetto generale
Giulio Pascali said
at 1:42 pm on May 28, 2010
qui veniamo al nodo culturale sul concetto di Paesaggio, che può funzionare e funzionerà solo se si ragiona pensando al territorio, in termini organici, come un bene collettivo unico dinamico e continuo, da gestire secondo regole e procedure uniformi su tutto il territorio nazionale, lasciando gli enti locali liberi di indicare priorità e contenuti, ma all'interno di una griglia strategica di livello nazionale.
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